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Il formaggio di yak: esotico, ma non troppo

Immagine del redattore: Maria Rita OlivasMaria Rita Olivas

Un formaggio che esprime la vocazione pastorale degli altopiani himalayani, in abbinamento a un Cannonau di montagna. Ma è una chicca o un’anteprima?

Lo yak appartiene alla famiglia dei bovidi, ha lunghe e spesse corna curvate verso l’alto e un peculiare mantello di pelo nero lungo e folto, con un simpatico ciuffo sulla fronte e lungo la coda. Allo stato selvatico, sull’altipiano tibetano oltre i 5000 metri di altitudine, gli esemplari maschi adulti pesano mediamente 7-10 quintali.

In paesi come Bhutan, Ladakh, Tibet, è stato addomesticato e viene allevato per la produzione non solo di latticini, ma anche di carne per saporiti stufati, di lana per tessere coperte e teli, nonché di letame, che viene essiccato e usato come combustibile. La specie domestica ha dimensioni decisamente inferiori e la colorazione della pelliccia può essere diversificata, varia dal nero al bianco e talvolta è chiazzata. Non è difficile capire il perché della sua diffusione in queste regioni: gli yak possiedono grandi polmoni che permettono loro di vivere ad elevate altezze nell'aria rarefatta e il pelo li ripara dal freddo. Si trovano perfettamente a loro agio sotto i ghiacciai e sui pendii rocciosi, dove, a dispetto della loro stazza, si muovono con agilità. D’estate possono trasferirsi su pascoli oltre i 4500 metri, scendendo a quote più basse d’inverno.

La femmina di yak non è particolarmente produttiva in termini di latte, infatti esemplari di yak e di bovini vengono spesso incrociati. Tuttavia il suo latte è ricco di elementi nutritivi, quali calcio, proteine, grassi omega 3, ed è considerato molto pregiato. Viene bevuto fresco o trasformato in uno yogurt particolarmente acido. Con la panna si produce un burro dal colore dorato, che le popolazioni usano nel tè insieme al sale, per renderlo più energetico, e si conserva a lungo avvolto nella pelle di yak.

In Ladakh, con il latte scremato si produce tradizionalmente un formaggio chiamato Churpi, disponibile in due versioni: una morbida, che viene consumata subito, e una dura, essiccata al sole sui tetti delle case, che dura tutto l’inverno e viene utilizzata per insaporire le zuppe. Nei negozi della capitale Leh se ne trova anche una versione a media stagionatura, prodotta nella regione dello Zanskar a oltre 3500 metri di altitudine. Il prodotto è una vera chicca, e visto che è difficilmente reperibile, lo abbiamo assaggiato per voi.

Ma attenzione…. forse in futuro potrete assaggiarlo anche in Italia, dove da qualche anno lo yak è presente: in Valsolda, grazie all’alpinista Reinhold Messner, che dopo averne fatto conoscenza durante le sue spedizioni tibetane, ha deciso di importarne alcuni esemplari; in Valsaviore, grazie all’intraprendenza di un imprenditore agricolo locale; in Veneto, nella foresta del Cansiglio, dove gli animali sono stati fatti arrivare per pulire il sottobosco e prevenire gli incendi. Quindi, speriamo che questa sia solo un’anticipazione!

La piccola forma si presenta con una crosta secca e dorata e un sottocrosta giallo carico che sfuma verso una pasta dal colore paglierino intenso. All’olfatto, dopo un'iniziale rusticità di pascolo, sfoggia copiosi effluvi di erbe aromatiche e piante medicinali e golose note di burro. In bocca è avvolgente, ma solubile, dalla spiccata tendenza dolce e grassezza, con lunghi ritorni vegetali. Ricorda uno dei nostri pecorini prodotti da capi allevati allo stato brado, ricco dell’aromaticità dei pascoli d'altura.

Una serie di suggestioni ci portano all’abbinamento con un vino italiano, dal sapore montano e proveniente da una regione con la stessa vocazione pastorale degli altipiani himalayani. Un vino che esibisce lo stesso patrimonio di erbe aromatiche del formaggio di yak, ma con la giusta mineralità e freschezza per contrastarne le morbidezze: il Cannonau di Sardegna DOC Mamuthone 2019 di Giuseppe Sedilesu.

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