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  • Immagine del redattoreGiovanni Tronchin

Zeno Raboso e le note di biomassa

Quarantaquattresimo capitolo del nostro romanzo a puntate dedicato alla vita e alla formazione enologica di un lavoratore e bevitore

L'attenzione per l'ambiente negli ultimi tempi era diventato uno degli argomenti più dibattuti. Anche al bar. Tra uno spritz e un prosecco i discorsi correvano sempre più sul filo della precaria salute della natura, a discapito di temi più classici come la politica o il calcio. Se, in effetti, politici e calciatori con i loro scandali e stili di vita insostenibili e intollerabili, erano diventati sempre più indigesti al popolo, i problemi di Madre Terra, tormentata dai disastri naturali causati dall'incauto sfruttamento dell'uomo, erano invece sulla bocca di tutti.

Mareggiate che distruggevano i litorali, venti tropicali che scoperchiavano case e abbattevano alberi, piogge e bombe d'acqua con smottamenti ed esondazioni di fiumi. Non vi era ombra di dubbio, il meteo spaventava, bastava un temporale per mettere in crisi una città, con il traffico in tilt e disservizi vari.

Zeno Raboso si ricordava che da bambino, ogni volta che il cielo si faceva cupo, sua nonna si agitava e iniziava a fare il giro della casa, chiudendo bene tutte le finestre, ricordandogli sempre la famosa alluvione del 1966. Temeva ogni volta che si potesse ripetere quel tragico evento in cui, oltre a tante vite umane, persero la vita anche molti capi di bestiame, che forse rimaneva per lei la disgrazia più grande.

Dopo essere cresciuto e vissuto a lungo incurante delle condizioni atmosferiche, Zeno si rendeva conto che gli era tornata l'apprensione per le perturbazioni, come quand'era piccolo con la nonna sempre appresso. Così, ogni volta che pioveva copiosamente, Zeno andava a fare un giro a controllare il livello del Piave, che scorreva verso il mare a due passi dal centro del paese. Così per sicurezza, per dormire più tranquillo.

Un altro aspetto, collegato, che ultimamente interessava molto a Zeno era l'inquinamento, con tutto il discorso del risparmio energetico e delle fonti alternative e rinnovabili.

Così, quando il suo capo Anacleto gli comunicò che sarebbe dovuto intervenire per un problema a una centrale biomassa, Zeno si illuminò.

Una centrale biomassa per il suo funzionamento utilizza l'energia ricavabile da materia organica come residui animali o vegetali, rifiuti biodegradabili o legname di risulta.

Quella in cui era richiesto l'intervento di Zeno Raboso aveva una peculiarità, funzionava con il letame e il liquame delle circa cinquecento mucche della stalla di fianco. Praticamente sfruttando la fermentazione di cacca e pipì del bestiame, in questa centrale avevano sostituito i combustibili fossili, producendo energia pulita e rendendo l'agricoltura più rispettosa del clima. Un vero modello di eccellenza.

L'unica avvertenza, lo avvisò Anacleto, è che c'era una puzza insostenibile e che era d'obbligo l'uso della mascherina per attenuare gli effetti di quel fetore persistente e pungente.

La località era Tombolo, in provincia di Padova, centro da sempre famoso per il commercio di bovini e suini. A Tombolo, in particolare, era riconosciuta da una secolo a questa parte la figura professionale del "mediatore di bestiame".

Zeno ricordava che da bambino suo papà gli aveva spesso raccontato che, negli anni Cinquanta, più di una volta era andato a Tombolo a piedi con suo padre e suo zio a vendere dei buoi. Impiegavano una giornata intera per arrivare, ma se si volevano fare affari sicuri bisognava andare a Tombolo, la capitale dei mediatori di bovini, un lavoro tramandato di padre in figlio da più generazioni. Ed era un commercio basato sulla fiducia, con una pacca sulla schiena della mucca si sanciva l'affare e per i soldi se c'era da aspettare si aspettava senza paura.

Quando Zeno Raboso arrivò a Tombolo per il suo intervento, preferì passare prima in centro per una piccola merenda. Proprio davanti al Municipio, al centro della piazza, campeggiava il "Monumento al Mediatore", una statua realizzata dall'artista locale Romeo Sandrin.

Zeno entrò per un cicchetto e un prosecchino e, dopo quel fondamentale pit-stop, raggiunse la centrale. La individuò dalle sterminate stalle che la circondavano e dall'inconfondibile puzza.

Lo accolse il guardiano del centro che, per accompagnare Zeno al cogeneratore, gli fece percorrere un lunghissimo corridoio in mezzo alle vacche.

"Ecco, vedi, ogni volta che una di loro fa un bisogno io mi sento meglio, perché so che stanno contribuendo alla riduzione dell'inquinamento", disse il tizio.

A Zeno stavano quasi venendo i conati di vomito e si promise di impegnarsi per risolvere il guasto il prima possibile. Gli piaceva l'idea di produrre energia pulita con la biomassa, ma quella puzza per lui era davvero insostenibile.

Prima che Zeno ripartisse, il guardiano gli diede una bottiglia di vino rosso: "Questa è da parte mia, per ringraziarti di quanto sei stato veloce e tempestivo".

Zeno, che davanti a una bottiglia di vino si commuoveva sempre, ringraziò di cuore e poi lesse incuriosito l'etichetta: Carmenère.

"Bevitelo alla mia salute con della carnazza saporita o con dei formaggi stagionati. Sentirai come sprigionerà note speziate al naso!".

Zeno lo guardò incuriosito e perplesso allo stesso tempo, pensando a come quell'uomo, avvolto tutti i sacrosanti giorni nella puzza di sterco, potesse riconoscere le note speziate...

(continua)



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