Oggi l’Albania festeggia l’indipendenza dall'Impero turco-ottomano proclamata nel 1912, un evento le cui conseguenze segnarono anche una ripresa della viticoltura nel Paese. Com’è oggi il vino albanese?
La dichiarazione d'indipendenza proclamata il 28 novembre 1912 ha traghettato l’Albania verso la formazione di una coscienza nazionale, dopo molti secoli di dominazione ottomana in cui l’islamizzazione aveva determinato anche un enorme freno alla viticoltura.
Se anche oggi la maggioranza della popolazione è di fede musulmana - con minoranze cattoliche e ortodosse – è anche vero in molti seguono il credo bektashi: un ordine sufi di impronta moderna che mette al centro l’individuo e la sua libertà: dall’estrema tolleranza interreligiosa alle abitudini mondane, compreso il consumo di alcolici.
Oggi in Albania la superficie vitata conta circa 25.000 ettari. Gran parte delle uve viene distillata per la produzione della bevanda nazionale: il Raki. In patria il vino albanese non è molto richiesto, perché ancora manca una tradizione legata al territorio, che si riflette anche nell’assoluto vuoto legislativo in materia: non esiste alcun disciplinare di produzione e anche la menzione del vitigno in etichetta non è normata, così che tutto, dalle uve impiantate al vino realizzato, è demandato alla discrezionalità dei produttori.
Il territorio, nel complesso poco più grande della Sicilia, è variegato e presenta morfologia e climi molto diversi tra il sud e il nord, la costa e l’interno. Si possono distinguere sei areali produttivi, ognuno caratterizzato dalla coltivazione prevalente di un vitigno autoctono, che di norma prende il nome dal villaggio di origine. Da nord a sud: a Zadrima il vitigno Kallmet, a Sukth il Shesh, a Narta il Vlosh, a Myzeqeja il Pules, a Korca il Serina e a Permet il Debina.
Lo Shesh ("i Bardhe" e "i Zi", ovvero bianco e nero) rappresenta il 35% del vigneto albanese. Shesh significa “raso al suolo” a ricordo di tutte le chiese cattoliche distrutte durante l’occupazione ottomana. Il Kallmet è un vitigno a bacca rossa caratterizzato da un alto grado di polimerizzazione, ovvero scarica molto il colore, e occupa il 20% della superficie vitata. Per l’impollinazione, non essendo il fiore ermafrodita, viene accoppiato con il Cabernet Sauvignon.
Meno diffusi, con percentuali intorno a 7-5%, il Vlosh, vinificato prevalentemente in rosa e di ottima acidità, come il Pules, un vitigno di altitudine, e il Serina e zeze -bacca nera- che sembra un lontano predecessore del Syrah. Tipici dell’entroterra il Debina, usato anche come uva da tavola e per la produzione del glikò (presidio slow food) e il Ceruja.
La ricorrenza di oggi è occasione per ricordare la masterclass organizzata qualche mese fa dall’Associazione Italiana Sommelier insieme al Club AIS Albania. Con i produttori presenti, abbiamo potuto degustare diverse versioni dello Shesh i bardhe: della Kantina Alimani, della Kantina Duka e della Kantina Balaj, che hanno dimostrato la versatilità di quest’uva bianca, che si presta anche a vinificazioni a contatto con le bucce, mantenendo comunque identità aromatica e acidità. Mentre lo Shesh i Zi di Balaj, prodotto con uve da zone fresche, si è rivelato un rosso croccante e piuttosto sapido, mentre nella zona di origine i vini prodotti con quest’uva mostrano più volume alcolico e tannino.
La Kantina Medaur ci ha proposto il Kallmet, un rosso di carattere e finezza, ottimo esempio delle potenzialità del vitigno. Della Kantina Uka Farm un esempio ricco e vibrante di Pules e un Ceruja: da vigne a piede franco allevate a pergola maritata, sono gli unici a produrlo in tutto il Paese, raccogliendo il lavoro di circa 70 famiglie. Un vino di finezza, dalle note minerali fumé e ottima freschezza che ben si presterebbe anche alla spumantizzazione, già prevista.
I vini albanesi non sono comuni da trovare nelle carte dei ristoranti, nemmeno in patria, ma meritano sicuramente di essere conosciuti, magari in loco: sono in crescita gli agriturismi annessi alle case vinicole, piccoli gioielli dove degustare la produzione locale.
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