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  • Immagine del redattoreGiovanni Tronchin

Zeno Raboso e il maso chiuso

Diciannovesimo capitolo del nostro romanzo a puntate dedicato alla vita e alla formazione enologica di un lavoratore e bevitore.

Era da un po' di tempo che a Zeno Raboso capitava di ritrovarsi spesso in mano un calice di vino dell'Alto Adige. Una volta a casa di amici, una volta all'inaugurazione di una sede di un fornitore, un'altra il barista in piazza che aprì una bottiglia di Pinot Bianco della zona di Bolzano per stupire i suoi clienti con una novità. Insomma, per una serie incomprensibile di coincidenze, Zeno stava familiarizzando con i vini del Sudtirol e scoprì che non gli dispiacevano affatto, in particolare i bianchi freschi e aromatici.

E la rocambolesca sorte volle che Zeno venne mandato a Merano per un'installazione di un nuovo macchinario alle famose terme. Era estate e nel Basso Piave, dalle parti di Zeno, il caldo era particolarmente afoso e insopportabile. Erano del resto terre strappate alle paludi con le bonifiche, dove l'afa si avverte anche in riva al mare. Per cui Zeno trovò sicuramente allettante l'idea di andare a prendere un po' di fresco in Trentino - Alto Adige. Terra di montagne e di grandi alpinisti, primo fra tutti il mitico Walter Bonatti, l'eroe del K2, la vetta "italiana" dell'Himalaya. Zeno ricordava che quand'era bambino e alla televisione sentiva delle imprese incredibili di Reinold Messner, suo papà gli diceva sempre "Perché non hai mai conosciuto Bonatti, lui è stato il più grande alpinista di tutti i tempi!". Sulle Alpi Zeno c'era stato diverse volte, anche da ragazzo, ma sempre e solo sulle Dolomiti bellunesi. Gli sembravano delle opere d'arte, con quelle strane cime calcaree che gli ricordavano il Grand Canyon americano. Non aveva mai varcato però il confine veneto e si era sempre soffermato sulle zone del Cadore. Aveva percorso quelle bellissime strade con occhi sognanti, incantato dalla magia di un paesaggio dipinto e incontaminato. Quanto attraversò il Passo di Giau pensò di essere nel posto più bello del mondo.

Questa volta finalmente ci si poteva spingere più in là, alla scoperta di un territorio unico e che da anni vedeva continuamente nelle invitanti pubblicità di proposte per le vacanze. Non aveva mai messo a fuoco la differenza geografica e storica tra Trentino e Alto Adige, ma col tempo aveva imparato ad abbinare il Trentino alla zona di Trento e l'Alto Adige a quella di Bolzano.

A Merano, Zeno non c'era mai stato, ma una ventina di anni addietro ci aveva vissuto per quasi un anno un suo amico per il servizio di leva, quand'era ancora obbligatorio. Il suo amico aveva fatto il militare con gli alpini e ogni volta che rientrava in permesso raccontava al bar di bevute epiche di grappa nelle stube, dove il calore dell'alcool superava quello delle storiche stufe in maiolica.

Zeno partì di mattina presto, la strada era abbastanza lunga. Preferì evitare l'autostrada del Brennero da Verona, scegliendo una via più romantica, per Bassano del Grappa e la Valsugana, magari cantando a squarciagola "Quel mazzolin di fiori" e "Che fai bella pastora".

Com'era bella la sua terra, pensava Zeno mentre guidava. Fiumi, vallate, colline verdi, montagne, osterie con pergolati di vite o di glicine e borghi che sanno di un'umanità sempre più rara. Certo, le brutture non mancano, soprattutto quando gli immancabili capannoni del Nordest si mescolano in un continuum con vigneti e antiche case coloniche.

Ed ecco che a mano a mano che si supera Bolzano e si esce dall'autostrada, l'Alto Adige si presenta come un territorio alpino con insediamenti sparsi in mezzo a grandi aree boschive. Ogni tanto spunta un vecchio casolare con altri fienili e altre piccole costruzioni ad uso agricolo, come stalle o magazzini per l'attrezzatura. È il cosiddetto "maso", di antichissima origine medioevale che significa sostanzialmente "casa di famiglia", dal latino "mansio", diventato "maison" in francese. Una parola dal significato protettivo e dal suono un po' ruvido allo stesso tempo. E in Alto Adige esiste ancora la versione estremista del maso, il "maso chiuso".

Il maso chiuso ovviamente agli occhi dell'Occidente del terzo millennio suona come qualcosa di anacronistico e ingiusto, soprattutto per la parità dei diritti di genere. Il maso andava in eredità solo al primogenito maschio. Però nell'intuizione di Maria Teresa d'Austria che lo istituì per legge, al di là della mentalità in voga allora, in pieno Settecento, voleva essere una soluzione per la sopravvivenza della montagna e della sua attività agricola. L'unica possibilità di salvezza per i contadini di montagna era l'indivisibilità della proprietà agricola. Il maso chiuso era quindi tradizione, ma anche garanzia di futuro per quelle aspre terre alpine.

Per questo Zeno scelse di cenare e dormire in un vecchio maso incastonato come un gioiello nella bellezza della natura sulla collina morenica di Marlengo, sopra la Val d'Adige. Qui passò la serata con Franz, che portava avanti con la sua numerosa famiglia l'attività del maso. E Zeno, mentre sorseggiava il raffinatissimo Chardonnay prodotto nelle terre di Franz da vecchissime viti, con sentori di frutti maturi e tropicali, pensò che un pascolo sotto il cielo era il miglior antistress che avesse mai provato...forse anche grazie allo Chardonnay!

(continua)

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