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  • Immagine del redattorePasqualino Pietropaolo

Duino Aurisina è la "Città del Vino 2022"

Tutto quello che avreste voluto sapere sui vini del Carso (ma non avete mai osato chiedere).

Alzi la mano chi conosce Duino Aurisina, esclusi i friulani-giuliani e i fanatici dei vini del Carso. Ebbene, è notizia di queste settimane che la piccola località in provincia di Trieste è stata nominata "Città Italiana del Vino 2022". Grazie a un dossier che la vede capofila di un ricco programma d'iniziative che coinvolge altri comuni del Friuli Venezia Giulia, ma anche delle vicine Slovenia e Croazia, "in un'ottica di collaborazione europea e transfrontaliera", la località giuliana - che riceve il testimone nientepopodimeno che da Barolo - ha infatti superato l'esame della commissione tecnica del consiglio nazionale dell'Associazione Città del Vino.


Duino Aurisina si affaccia sull'insenatura più settentrionale del mar Adriatico, qualche chilometro a ovest di Trieste, in quel piccolo pezzo di terra di confine compreso tra Italia, Istria e Slovenia, crocevia tra cultura latina, mitteleuropea e slava. In una parola il Carso, un altopiano calcareo aspro, ostico e difficile ("così fredda, così dura, così prosciugata, così refrattaria, così totalmente disanimata", scriveva Ungaretti in Sono una creatura, descrivendo la pietra che monopolizza questo paesaggio) anche per la coltivazione della vite, una terra dove ogni vigna è stata letteralmente strappata alla roccia.


I vitigni storicamente coltivati sono la Malvasia Istriana (il vitigno a bacca bianca più diffuso, che esprime vini meno aromatici e più minerali rispetto alle altre malvasie italiane), la Vitovska (il più hipster/alternativo, un incrocio tra malvasia e glera da cui si ottengono bianchi acidi e longevi) e il Terrano (uva della famiglia dei refoschi, che dà vita a un rosso tannico, ruvido e orgogliosamente local).

Le terre rosse che ricoprono l'altopiano carsico, le marne arenarie dei terrazzamenti costieri, le brezze marine e la bora concorrono a creare vini unici e "identitari", in questa territorio di frontiera dove le vigne - come gli uomini - sono una koinè culturale che se ne frega dei confini politici.


I vini del Carso in passato erano consumati solo nei locali di Trieste e nelle osmize - i ristori di campagna tipici di queste zone, dove i contadini vendono vino sfuso e altri loro prodotti -, ma grazie alla passione al lavoro di alcuni bravi vignaioli (tra i più noti segnaliamo Kante, Vodopivec, Skerk e Zidarich) negli ultimi decenni sono arrivati alla ribalta internazionale.


Cosa aspettiamo quindi? Andiamo al più presto ad arrampicarci tra le impervie vigne di Duino Aurisina e bussiamo alla porta di un'osmiza per dissetarci e rifocillarci di salumi e formaggi locali. Qui c'è anche un favoloso castello del XIV° secolo a picco sul mare, da cui si dipana un sentiero tra le falesie intitolato al poeta boemo Rainer Maria Rilke, che amava passeggiarvi e che qui trovò ispirazione per le Elegie Duinesi (Duineser Elegien, ah la mitteleuropa!). Il sentiero conduce poi alla spiaggia di Sistiana, locus amoenus che più mediterraneo non si può.


Duino Aurisina è però anche un luogo "where the streets have no name": le strade che percorrono il comune infatti non hanno un nome, pare a causa delle divergenze tra la comunità italiana e quella slovena. Durante le guerre mondiali il territorio fu teatro di durissimi scontri e rappresaglie tra i due gruppi, e la strumentalizzazione della memoria è sempre una brutta bestia.

Che il vino possa continuare a unire le genti del Carso, che su queste vecchie ruggini siamo sicuri preferirebbero berci su.

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