Ventunesimo capitolo del nostro romanzo a puntate dedicato alla vita e alla formazione enologica di un lavoratore e bevitore.
Era l’estate più calda di sempre. Afa e sole cocente non davano tregua. Ne soffrivano tutti, anziani e bambini, lavoratori e casalinghe. Una calura democratica. Anche i notiziari in radio e alla televisione raccomandavano in continuazione di non uscire nelle ore più calde, di idratarsi spesso e di non mangiare cibi piccanti e carne di maiale.
Il papà di Zeno aveva fatto scorta di prosecco e messo in funzione un piccolo frigorifero aggiuntivo in garage, in modo da avere sempre delle bottiglie fresche. Capitava spesso di vederlo seduto, suo papà, sulla panchina sotto il portichetto di casa con un asciugamano bagnato sulle spalle e un bicchiere di prosecco quasi ghiacciato. E Zeno andava a fargli compagnia volentieri tutte le volte che poteva. Stavano lì, seduti, padre e figlio, a parlare del più e del meno, soprattutto di lavoro, del clima che stava cambiando e qualche volta anche di calcio.
Ad un certo punto sbucò Renzo, un vecchio cugino che abitava in aperta campagna e che faceva il contadino, o meglio, il coltivatore diretto, come diceva sempre lui. Quando se lo videro davanti, in cortile, davanti a loro, Zeno e suo padre si guardarono meravigliati per non aver sentito nessun rumore.
“Ma sei venuto a piedi?” gli chiesero.
“Per carità, con questo caldo, siete matti? No, sono venuto in macchina!” rispose Renzo, indicando l’auto parcheggiata in strada vicino al cancello. Renzo aveva appena cambiato macchina e l’aveva presa elettrica.
“E’ meno rumorosa di una farfalla” disse Renzo ridacchiando e creando un lieve fruscio con le mani. Lui era noto per essere un buontempone e per sapere raccontare bene le barzellette. Inoltre gli piaceva imitare i versi degli animali. Zeno si ricordava che, quando era un bambino, spesso Renzo per farlo ridere faceva il verso del lupo o della scimmia.
Fatto sta che nel giro di pochi minuti si ritrovarono tutti e tre a bordo della nuova auto elettrica di Renzo, diretti in osteria per brindare al nuovo acquisto. Andarono dalle parti di Renzo, fra i campi coltivati a soia e barbabietole, perché lì sopravviveva ancora un’osteria nata quasi cent’anni prima.
Per strada si sbizzarrirono in svariati commenti sulle performance dell’auto, del resto tutti e tre se ne intendevano di meccanica ed elettricità. Ciò che maggiormente li impressionava era la totale assenza di rumore, nemmeno un sibilo. Sembrava di attraversare spazio e tempo come se viaggiassero nella galassia.
Giunsero così all’osteria chiamata “Il Platano”, perché nel giardino c’era un altissimo e frondosissimo platano, che faceva ombra a cinque tavolini di fòrmica. Zeno, suo papà e Renzo entrarono nel bar e notarono che sul bancone c’erano tre piatti pieni di uova sode. Renzo ne sbucciò subito uno e ordinò tre bianchi alla signora anziana che stava lì dietro. Il vino era un verduzzo, leggero, secco, fruttato e leggermente mosso, tipico della zona, ma che ormai veniva bevuto solo dalle vecchie generazioni. Costava solo un euro al calice, le uova trenta centesimi e alla fine riuscirono a spendere dieci euro nella mezzoretta in cui si fermarono al Platano. Al terzo verduzzo l’occhio di Zeno cadde su un quadro, forse più una fotografia, appeso dietro al bancone che ritraeva un robusto uomo di mezza età, con barba e capelli bianchi.
“Sarà un vecchio Presidente della Repubblica” disse Renzo.
“A me sembra più un sindacalista” intervenne il papà di Zeno.
A quel punto la signora del bar si alzò a fatica dal suo sgabello e commentò: “Che razza di ignoranti! Ma davvero non sapete chi è quello? E’ Hemingway, il famoso scrittore americano che ha fatto la Prima Guerra Mondiale qui lungo il Piave. Si era così innamorato delle nostre zone che tornò spesso dopo la guerra e sarà passato in tutte le osterie del Basso Piave. Era, diciamo, un discreto bevitore, un amante della natura e dell’avventura. Vinse anche il Premio Nobel, ma fece una brutta fine. Alcolizzato e depresso, si suicidò a 61 anni”.
Le parole della signora furono seguite da un lungo silenzio. Zeno osservava l’espressione disinvolta e sicura di Hemingway, da lupo di mare e santo bevitore. Un uomo che come lui aveva attraversato entrami i conflitti mondiali del Novecento non poteva che uscirne segnato, pensò Zeno.
Renzo, Zeno e suo papà si guardarono: era ora di andare da un’altra parte, c’era il tempo per un’altra tappa perché era ancora troppo presto per rientrare a casa per cena.
Risaliti in macchina, ripresero a parlare di auto ecocompatibili e di sostenibilità, a modo loro. Quell’auto elettrica era una grande novità, tutti ne parlavano, ma loro la stavano guidando. Ad un certo punto, però, il papà di Zeno se ne uscì con una domanda scomoda: “Ma adesso che è tutto un dire contro il petrolio, le emissioni di gas e compagnia bella, come la mettiamo con lo smaltimento delle batterie elettriche? Mica sono eterne?”.
Mentre gli altri due annuivano convinti, arrivarono alla seconda meta che Renzo aveva pensato per il giro di inaugurazione della sua macchina nuova, l’osteria “Da Bepi”, praticamente alle porte della laguna veneta. C’erano in effetti più barche che automobili parcheggiate in questo ultimo fazzoletto di terra fangosa che si affacciava sulle valli.
Frequentato soprattutto da pescatori, il locale si presentava con un arredamento piuttosto povero e vecchio. Al bar c’era lui, Bepi, con alle spalle anche qui la foto di Hemingway. La somiglianza tra i due era sorprendente. In questo posto sperduto l’osteria sembrava l’unico contatto con il mondo.
Bepi si ritirò qualche minuto in cucina e poi uscì con un vassoio colmo di fumanti linguine alle vongole, urlando “Tutta roba a kilometro zero, pescata con la mia barca elettrica, più sostenibile di così! Chi ne vuole?”.
Senza esitare Zeno, suo papà e Renzo aderirono alla proposta di Bepi e si ritrovarono a cenare con altri sconosciuti. Fu un’esperienza incredibile, anche se non tennero conto dell’insostenibilità delle loro scuse quando rientrarono a casa intorno a mezzanotte…
(continua)
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