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  • Immagine del redattoreGiovanni Tronchin

Zeno Raboso e i Sassi di Matera

Sesto capitolo del nostro romanzo domenicale a puntate dedicato alla vita e alla formazione enologica di un lavoratore e bevitore.


L’estate era entrata nel vivo. Faceva molto caldo, ma a Zeno piaceva la sensazione di vestirsi leggero, di bersi i suoi prosecchini freschi seduto sulla panca in giardino, dopo essere rientrato dal lavoro.


Quella sera, però, non voleva esagerare con le bollicine, perché Anacleto, il suo titolare, gli aveva detto che il giorno seguente lo aspettavano a Matera, per un guasto all’ospedale Madonna delle Grazie.


"E dov’è Matera?" Aveva chiesto Zeno. Otto ore e mezza di viaggio, senza traffico. Una bella tirata che doveva per forza prevedere delle soste tecniche. E così, dopo aver dormito bene, ma non benissimo, Zeno partì alle cinque del mattino. Fece tappa a Rimini, ma era ancora troppo presto per una piadina. Quando però si fermò per la seconda tappa a Vasto, non si fece mancare un’abbondante razione di arrosticini.

Mentre guidava gli venne in mente la vacanza di famiglia in Salento, avrà avuto dieci anni. A bordo della Fiat 124 di suo papà avevano impiegato quasi dodici ore per arrivare nel tacco d’Italia, dopo aver percorso tutta la costa adriatica. Rivide per un attimo i suoi occhi spalancati in autostrada a guardare le altre macchine, a leggere le targhe e tutti i cartelli stradali pieni di nomi sentiti a scuola o letti sul sussidiario, sempre accompagnato dalla linea fissa blu del mare alla sua sinistra.


Più si scendeva verso sud, più il verde delle campagne perdeva di intensità, schiarendosi fino a passare definitivamente, dopo Foggia, al giallo e al marrone di quelle terre così bruciate, eppure così fertili, della Puglia.


Fisso a 130 km orari, Zeno riviveva con nostalgia i ricordi di quegli spensierati anni 80 e 90. Ma ora doveva concentrarsi per arrivare il prima possibile a Matera per risolvere il guasto. In cuor suo, però, come sempre, sperava di vivere qualche nuova e interessante esperienza in una città che non conosceva.


La moglie del suo capo Anacleto, che era anche la segretaria della ditta, gli aveva prenotato due notti in un piccolo appartamento all’interno del centro antico di Matera. Nel dare a Zeno il foglio della prenotazione, scherzosamente gli aveva detto di non ammaccarsi la schiena, dal momento che avrebbe dormito in un "sasso". Zeno l’aveva guardata un po’ contrariato, che già era preoccupato per il viaggio.


Chissà dove dormirò, si chiedeva, ma pensava soprattutto a dove e a cosa avrebbe mangiato e bevuto. Sapeva che al sud si mangia bene e in abbondanza, sperava solo di trovare il ristorante giusto e di non farsi fregare. Perché, per quanto fosse sempre stata una persona di ampie vedute, avvertiva un ancestrale senso di paura, come se temesse di arrivare in una terra ignota e di venire depredato dalla popolazione autoctona appena sceso dal furgone. Era proprio un polentone, rifletteva, mentre cercava di mettere in fuga quei pensieri infondati.


Arrivò a destinazione alle 14 circa, accompagnato da un pezzo alla radio degli Almamegretta che non sentiva da secoli e che gli piaceva un sacco. Benvenuto al Sud si disse. L’intervento a uno dei motori principali dell’ospedale fu un successo. Riparò tutto in un paio d’ore tra i complimenti dei tecnici del posto. Era ora di riposarsi e di raggiungere il suo alloggio. Un dipendente dell’ospedale lo accompagnò con una piccola auto elettrica nella zona dei Sassi. Era uno spettacolo assoluto e inatteso. Per Zeno quel dedalo candido di caverne, viuzze, scale e terrazze superava ogni fantasia, ne rimase estasiato.


Fuori dal suo alloggio lo aspettava la padrona di casa, una bella donna, un architetto, che gli mostrò la singolare abitazione che aveva personalmente ristrutturato e reiventato. Gli indicò anche un vassoio di frutta fresca. Ci sono anche le pesche fresche, gli disse, sono di quest’albero qui in giardino, le chiamano percocche da queste parti. Nell’antico Egitto riuscivano a estrarre il cianuro dalle pesche, ma non ti preoccupare, non sono avvelenate!


Zeno la guardò un po’ turbato e, mentre la signora se ne andò con le ultime spiegazioni sulla casa, pensò al fascino delle donne mediterranee e per un attimo lo confrontò con il senso di praticità ed essenzialità delle donne del suo nord est. Sul tavolo c’era una bottiglia di vino rosso. Aglianico, riportava l’etichetta. Era prodotto da una cantina della zona e Zeno pensò che doveva assolutamente assaggiarlo, anche perché in fondo se lo meritava... Il sapore intenso, connotato dall’affinamento in barrique, inebriò Zeno, che trovò il vino troppo forte. Non era per lui ci voleva un bianco. Andò in una trattoria tipica che si chiamava Enotria, perché per i Greci il sud Italia era semplicemente “la terra del vino”, come gli spiegò il cameriere, che aggiunse che in Lucania si produceva vino già nel 1300 a.C.


Zeno Raboso mangiò divinamente e bevve un fresco e avvolgente Greco Bianco. Aveva trovato il suo vino lucano! Come ammazzacaffè, il cameriere gli suggerì un bicchiere di Amaro Lucano, servito con due cubetti di ghiaccio e una fettina di limone. Che pozzo di scienza!, pensò Zeno, quando il cameriere gli disse che quel comunissimo amaro lo avevano inventato in un bar da quelle parti a fine Ottocento con una ricetta segreta, altro che Coca Cola!


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