Ventiquattresimo capitolo del nostro romanzo a puntate dedicato alla vita e alla formazione enologica di un lavoratore e bevitore.
In paese c'era aria di elezioni, ma non tirava un bel vento. Come nel resto dello stivale, anche dalle parti di Zeno la politica e i politici avevano deluso. Troppe promesse, molte aspettative e poche iniziative degne di nota. I giovani erano assolutamente distanti e gli unici un po’ impegnati erano donne e uomini di vecchie generazioni e di altri tempi.
A giugno, comunque, si andava a votare per eleggere il sindaco e c'erano diversi candidati in lizza.
Zeno Raboso era sempre rimasto ai margini di qualsiasi disputa politica, che ovviamente si svolgevano principalmente al bar. Ma Zeno non si sentiva mai molto coinvolto, era nato e cresciuto in un paese in cui, fortunatamente, le cose più importanti avevano sempre funzionato, a cominciare dalla scuola. Negli ultimi tempi sicuramente alcuni temi erano diventati più attuali e problematici, come l'aumento del traffico, la pulizia dei fossi, la sicurezza, il bullismo, la gestione del traffico e il cambiamento climatico.
Quando Zeno sentiva discutere al bar di questi argomenti ascoltava, ma non partecipava. Gli interessavano, per carità, ma faticava a prendere la parola. Non sentiva decisamente lo stesso trasporto che provava quando, per esempio, parlava di lavoro, di calcio e di cantine.
Però negli ultimi mesi di positivo c'era che, tra consiglieri e candidati sindaco, al bar era tutto un bere gratis. Si cercava di far propaganda offrendo spritz e bianchetti a chiunque capitasse sotto tiro, con la scusa di parlare di programmi e cambiamenti, ma con la sola speranza di tirar su qualche voto, l'unica cosa che contava veramente.
Le liste dei candidati erano praticamente tutte complete, tranne quella del sindaco in carica, che puntava alla riconferma per il secondo mandato.
Gli mancava ancora un candidato consigliere comunale e la sua scelta ricadde proprio su Zeno Raboso. Gli si avvicinò una domenica mattina in piazza, dopo la messa, e attaccò bottone ricordandogli il piacere che gli aveva fatto un paio di anni prima, approvandogli l'installazione di una tettoia per le auto sul cortile di casa sua, nonostante non rispettasse le distanze obbligatorie dai confini. Alla luce di questo "condono", vista anche la datata conoscenza e confidenza con i suoi genitori e considerata la stima che il sindaco dichiarava di aver sempre nutrito per Zeno, dava per scontato che avrebbe accetta di entrare nella sua lista. E per vincere la resistenza, che sentiva montare in Zeno, il sindaco lo invitò a prendere un prosecco al bar.
Zeno e il sindaco camminavano a braccetto in mezzo al paese, sotto gli sguardi incuriositi di tutti e Zeno, tutto sommato, si sentì anche un po' importante. Alla fine, dopo le prime perplessità e un paio di prosecchi offerti (il sindaco, per darsi un tono, aveva chiesto al barista di dargli quello brut e non il solito extra dry), Zeno accettò.
Con lui si chiudeva finalmente la lista e in lui il sindaco vedeva la possibilità di portarsi a casa un po' di voti utili, perché Zeno lo conoscevano tutti ed era considerato una brava persona. Il sindaco gli spiegò cosa avrebbe dovuto fare fino alle elezioni. Mancava solo un mesetto e bisognava darsi da fare. Oltre a presenziare alla varie serate, comizi e incontri, era necessario diventare una specie di venditore porta a porta. Andare a casa delle persone a spiegare il programma politico e a strappare una promessa di voto.
Al solo pensiero di questa missione a Zeno venne il magone e si rimproverò di aver accettato la richiesta del sindaco, che in realtà gli era sembrata più un ricatto per la vicenda della tettoia.
Rassegnato, Zeno prese il Tuttocittà cartaceo che conservava a casa vicino al telefono e lo aprì sulla pagina doppia del suo comune. Decise di iniziare da una via periferica, vicino ai campi, dove recentemente avevano realizzato una strada di raccordo alla statale che porta verso le località balneari.
Andò in bici con un borsello a tracolla pieno di volantini con foto ammiccanti e slogan anni ottanta. Si fermò alla fine della via, dove c'era una grande casa abitata da una coppia di anziani. Zeno si avvicinò al cancello e premette sul campanello, senza troppa convinzione. Dopo pochi istanti uscì un signore di circa settantacinque anni, in pantaloni lunghi, canottiera bianca e un cappello di paglia sulla testa. Zeno lo conosceva di vista e lo salutò, presentandosi e accennandogli il motivo della sua visita. Adelio, l'anziano, gli chiese a quale squadra appartenesse e, quando Zeno gli rispose che era della lista del sindaco in carica, gli sfoggiò un gran sorriso dicendogli: "Ah, bene bene, entra pure, hai trovato quello giusto con cui parlare!". Zeno entrò e si accomodò in cucina, dove c'era anche la moglie di Adelio.
"Prima di parlare è meglio pulirsi la bocca con un prosecchino di mia produzione, così mi dici anche cosa te ne pare" esordì Adelio. Zeno non poté che apprezzare questo incipit all'insegna delle sue amate bollicine e quando lo assaggiò ne riconobbe subito la straordinaria bontà: "Ma questo prosecco è una bomba!".
"Era una bomba", replicò Adelio con tono sommesso.
"In che senso 'era'?"
"Nel senso che purtroppo il vigneto non c'è più e queste sono le ultime bottiglie rimaste. Da quando il tuo sindaco ha voluto far passare quella maledetta strada dove c'era il mio vigneto, espropriandomelo per pochi euro, non si fa più vino. Finito. Peccato, era buono".
"Porca miseria se era buono", pensò tra sé Zeno, imprecando sottovoce per lo sfortunato inizio della sua campagna elettorale. Peggio di così non avrebbe potuto cominciare.
"Posso avere un altro bicchiere di prosecco? E' effettivamente buonissimo" chiese Zeno, facendosi coraggio.
Alla fine passò più di due ore seduto in cucina di Adelio a sentire tutte le sue accuse al sistema politico che lo aveva privato della sua grande passione, la vigna. Nel frattempo Zeno continuava ad annuire a testa bassa e a buttar giù prosecchi. La moglie di Adelio affettò anche un salame, tagliò del formaggio e scaldò la polenta.
Adelio era un fiume in piena e Zeno non capiva più niente. Ad un certo punto, a fatica, si alzò e salutò, si era fatto tardi. Prese la bici e si avviò verso casa con un'andatura zigzagante.
"Sempre tutta colpa delle bollicine" si disse, ma come se fosse più una fatalità che un rimprovero.
(continua)
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