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  • Immagine del redattoreMaria Rita Olivas

I formaggi di Elisabetta Foradori, vivi ed energici come i suoi vini

Dalla fermentazione dell’uva a quella del latte, un’avventura che si ripete, con lo stesso e unico obiettivo di raccontare il territorio e la sua forza vitale.

La voglia di sperimentazione non manca certo a Elisabetta Foradori: già nel 2002, insieme all’agronomo Rainer Zierock, converte le vigne di famiglia alla pratica di coltivazione biodinamica; conduce poi il recupero genetico dei ceppi originari di teroldego dei vari terreni della piana rotaliana per valorizzarlo in tutte le sue sfumature; nel 2019 avvia la coltivazione di 30 varietà di ortaggi, sempre seguendo i principi dell’agricoltura biodinamica; infine, nel 2020 fa partire la produzione casearia.

Quest’ultima avventura nasce nel 2010, anno in cui fa arrivare in azienda 7 vacche di razza grigio alpina, che lascia pascolare tra i filari delle sue vigne da fine vendemmia ai mesi estivi, quando gli animali salgono sugli alpeggi dolomitici. Inizialmente, l’idea di Elisabetta è di arricchire i terreni attraverso la biodiversità che il compost prodotto dal letame delle vacche favorisce, fungendo da moltiplicatore di specie di fiori e piante. Elisabetta racconta che, da quando la vigna è popolata dalle vacche, la complessità dei suoli è aumentata, riflettendosi nei vini. Nel 2019 la svolta: passa un’intera estate in alpeggio con la casara trentina Irene Piazza e inizia a produrre una gamma di formaggi che siano legati al territorio e ne siano “fedeli messaggeri”.

Questi formaggi sono “vivi” esattamente come i suoi vini. Vivi, perché il ciclo produttivo ha origine da terreni e pascoli naturali che costituiscono l’alimentazione delle vacche; perché il latte è utilizzato a crudo, mantenendo intatto il suo patrimonio batterico, e l’innesto che fa partire la fermentazione del latte è autoprodotto. Similmente alle uve di Foradori, che traggono le sostanze organiche dai terreni coltivati in biodinamico e vengono fermentate spontaneamente con i lieviti autoctoni. Questa vitalità si esprime nelle sensazioni non omologate dei formaggi, che non hanno timore di esibire ora una spiccata acidità, ora un’accentuata tendenza amarognola, ora sentori di animali o note ammoniacali. Due in particolare ci hanno colpito:

Lagrinza” è una robiola a crosta fiorita affinata almeno due settimane, impreziosita da tre diverse consistenze, che esprimono diverse note aromatiche e si fondono insieme all’assaggio: una crosta rugosa e masticabile, ricoperta da candide muffe dai ricordi di muschio e champignon; un sottocrosta cremoso, dai sentori animali e la spiccata tendenza dolce; un cuore più compatto, acido e vegetale di fiori e di erbe. In bocca la persistenza indugia su sensazioni amare che ricordano le essenze dei pascoli.

Da abbinare con Vigneti delle Dolomiti IGT Fontanasanta Manzoni Bianco 2016, Foradori, che sfodera la giusta intensità aromatica per accostarsi al carattere della robiola e la necessaria morbidezza per stemperarne gli accenti più selvatici.

Alta quota” è una pasta semidura, che nasce a quasi 1700 metri dalle malghe sotto al passo Brochon. Dopo la formatura, ”transuma” in una grotta in valle dove, nei mesi di stagionatura, acquista un profluvio di fragranze, dal porcino alla frutta secca, dall’humus al tostato, su uno sfondo burro fuso che si ritrova in bocca nell’avvolgenza della grassezza, unita alle vivaci note amaricanti delle erbe montane, onnipresenti.

Da abbinare a Vigneti delle Dolomiti IGT Fontanasanta Nosiola 2017, Foradori, che esibisce qui il suo carattere sviluppato nel tempo, rinfrescando la bocca con la sua spinta acido-sapida, reggendo la forza espressiva dell’Alta Quota con la ricchezza della macerazione in anfora, e non temendo, grazie al suo estratto, la struttura del formaggio.



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