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  • Immagine del redattoreMaria Rita Olivas

I nuovi percorsi virtuosi del Grana Padano DOP

Sempre più attenzione all’alimentazione delle vacche, per offrire un prodotto che esprima il territorio. Esattamente come il Pinot Nero in abbinamento, il Maderu di Stefano Milanesi

Continuiamo con la nostra rassegna dedicata ai formaggi parlando di un prodotto tra i più diffusi e accessibili.

"Latte, caglio, sale e… lisozima". Lo si legge molto spesso sulle etichette del Grana Padano DOP. Ma, come direbbe il Don Abbondio manzoniano, "Chi era costui?". Per spiegarlo bisogna partire da un certo tipo di alimentazione delle vacche, costituita da fieni e cereali (fino al 50%) conservati nei silos, i cosiddetti “insilati”, una tecnica di conservazione dei mangimi tipica della Pianura Padana.

Durante la sosta nei silos si ottiene un prodotto che acidifica naturalmente ed è molto gradito alle mucche. Tuttavia, alcuni batteri posso trovarvi le condizioni ideali per svilupparsi, passare nel latte e compromettere la corretta maturazione del formaggio con anomale fermentazioni in fase di stagionatura. Pertanto, per inibire tali fenomeni, da disciplinare è ammessa l’introduzione in caldaia del lisozima, una proteina contenuta nell’albume dell’uovo, che funge da antibiotico naturale. Pur essendo utilizzato in quantità minime (massimo 25 grammi per 1000 litri di latte) e pur essendo nient'altro che un additivo alimentare, il lisozima viene spesso demonizzato, poiché emblematico di un tipo di alimentazione considerata poco idonea e salutare per gli animali e la produzione di latte di qualità.

In altri disciplinari di formaggi a latte crudo e a pasta dura, dove durante le lunghe stagionature si possono sviluppare le fermentazioni indesiderate – in primis, quello del Parmigiano Reggiano DOP, ma anche lo stesso Trentingrana, sottodenominazione del Grana Padana DOP – il lisozima è infatti proibito, poiché l’alimentazione delle vacche è costituita in gran parte da foraggi verdi e/o foraggi trasformati in fieno provenienti del territorio, con una minima parte di cereali, non insilati.

Il benessere animale è ormai considerato la conditio sine qua non per offrire ai consumatori più consapevoli prodotti genuini e dalle peculiari caratteristiche organolettiche e ciò include l’origine e lo stoccaggio degli alimenti. Negli ultimi anni, quindi, molti produttori del Grana Padana DOP stanno scegliendo due percorsi virtuosi finalizzati a migliorare le condizioni delle lattifere e la qualità della produzione.

Il primo è una gestione più attenta degli insilati, promossa da uno specifico progetto di ricerca del Mipaaf (Ministero delle politiche Agricole, Alimentari e Forestali) e volto a ottimizzare la tecnica di conservazione dei mangimi per ridurre l’insorgere della proliferazione microbica del latte ed il conseguente, inevitabile, utilizzo del lisozima. Il secondo parte direttamente dal terreno e dal metodo agricolo, con l’utilizzo di erba, fienagioni e cereali a filiera corta, non conservati nei silos, né contenenti concimi chimici o diserbanti con un triplice fine: eliminare l’utilizzo di antibiotici dall’alimentazione degli animali e dal latte, ottenere formaggi di grande valore e preservare il territorio, che costituisce parte integrante dell’espressività di un prodotto.

Per capire le differenze organolettiche di un formaggio ottenuto da vacche ben alimentate, abbiamo assaggiato un Grana Padana DOP di oltre 40 mesi.

Il colore è giallo intenso, sintomo della presenza dei carotenoidi contenuti nei foraggi di qualità. Il naso è complesso, si percepiscono non soltanto le note di burro fuso e brodo di carne tipiche dei Grana stagionati, ma anche toni molto freschi di erbe essiccate, rimandi alla frutta secca tostata e alla fava tonka. Quello che però sorprende è la bocca: lungi dall’essere asciutta come spesso accade nei Grana Padano lungamente stagionati, al palato ha ancora l'umidità e la rotondità tipiche delle forme più giovani, con un grande equilibrio tra sapidità e umami da una parte, tendenza dolce e grassezza dall’altra. Merito dei grassi insaturi contenuti, ancora una volta, nei foraggi derivanti da prati ricchi di essenze, conservati correttamente e dalle ottime caratteristiche nutrizionali.

Per valorizzare al meglio l'espressività del formaggio e il legame con il territorio, l’abbinamento che ci sembra più immediato e coerente è con un vino biologico dell’Oltrepò Pavese, il Pinot Nero Maderu 2013 di Stefano Milanesi, che di questo Grana Padano ha la stessa complessità gusto-olfattiva e la stessa tessitura cesellata.



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