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Zeno Raboso e la transumanza abruzzese

Immagine del redattore: Giovanni TronchinGiovanni Tronchin

Trentesimo capitolo del nostro romanzo a puntate dedicato alla vita e alla formazione enologica di un lavoratore e bevitore.

Ormai il lavoro era ripreso alla grande e Zeno veniva continuamente inviato dal suo titolare Anacleto a risolvere problemi in giro per l’Italia. A Zeno non dispiaceva affatto macinare chilometri con il suo furgone attrezzato, scoprendo nuovi territori, nuove culture e nuovi vini. Era già stato in tante regioni da nord a sud. Proprio mentre a bordo del suo furgone stava pensando, come se giocasse a Risiko, a quali e quante regioni italiane avesse visitato per lavoro, ricevette una chiamata al cellulare. Era Anacleto che gli annunciava la nuova destinazione da raggiungere l’indomani, per risolvere un fermo macchina in un oleificio nel cuore dell’Abruzzo. A Castel Del Monte in provincia de L’Aquila per la precisione.

Se non fosse stato per Lucia, una vicina di casa dei suoi, molto amica di sua mamma, che era di Avezzano, e per averlo studiato sul sussidiario alle elementari, l’Abruzzo sarebbe stato per Zeno un perfetto sconosciuto. Si ricordava vagamente del Gran Sasso d’Italia, di questa vetta appenninica dal nome altisonante e del Parco Nazionale dell’Abruzzo, famoso per l’orso marsicano. Una volta, in estate, si era fermato a Vasto, uscendo esausto e accaldato dall’autostrada per fare un bagno al mare, ma non aveva capito di essere in Abruzzo. Del resto lui faceva del tratto costiero che comprendeva le Marche, l’Abruzzo e il Molise, un unicum, una landa comune e generica del Centro Italia, tra la Romagna e la Puglia, vera porta del sud.

Un’altra volta, in un matrimonio, al tavolo c’erano bottiglie di Montepulciano d’Abruzzo e questo vino rosso intenso, probabilmente il vitigno più importante dell’Italia centrale, non gli era dispiaciuto affatto. Per il resto l’Abruzzo restava per Zeno un mistero, non aveva nemmeno assaggiato gli arrosticini per intenderci.

Con grande spirito di abnegazione Zeno partì all’alba e percorse in circa sei ore seicento km. Quando arrivò, Castel Del Monte si presentò in tutta la sua bellezza incastonato tra le montagne. Nella piazzetta sotto le mura fortificate Zeno incontrò un addetto del frantoio che lo stava aspettando per portarlo alla sede, che si trovava a pochi chilometri di distanza. L’impianto era fermo a causa di un guasto al sistema di centrifugazione.

Il tizio che lo aspettava si chiamava Giuseppe. Aveva un viso paffuto e un’espressione simpatica e accolse Zeno con un compiaciuto “Benvenuto nella capitale dei pastori e delle streghe!”.

Mentre Zeno si beveva un caffè all’aperto per riprendersi dal lungo viaggio, Giuseppe notò che stava osservando le tipiche abitazioni di Castel Del Monte. “Si chiamano case-mura, sono delle torri dalla duplice funzione, abitativa e difensiva. Ma la cosa più interessante sono i cosiddetti sporti, cioè dei tunnel sotterranei scavati nella roccia, che collegano diverse parti del paese, come se fossero dei passaggi segreti”.

Zeno ascoltava e avvertiva delle belle sensazioni, quel luogo gli piaceva, anche solo per l’idea di poter ammirare da una parte le montagne e dall’altra immaginare l’Adriatico.

Però era ora di pensare al lavoro e quindi con Giuseppe partirono verso il frantoio.

L’intervento non fu per niente banale e richiese diverse ore. Ma, come da copione, Zeno aggiustò tutto e verso il tardo pomeriggio i macchinari ritornarono a essere operativi, con gran sollievo dei vari addetti.

Grazie Zeno, eravamo davvero preoccupati, soprattutto perché quest’anno la raccolta delle olive verrà molto anticipata”. Zeno minimizzò come sempre e, lamentando un certo languorino e un po’ di sete, disse, parlando di cose serie, che si era ormai fatta l’ora dell’aperitivo. “Cosa si beve da queste parti prima di cena?”, chiese Zeno. “Il tromba!” esclamarono tutti all’unisono. Si trattava di vino bianco fresco con il Campari, un po’ più forte dello spritz, ma che Zeno comunque apprezzò tantissimo. Uscirono così tutti dal frantoio e attraversarono la strada per andare a brindare al bar di fronte.

Il tromba non è come lo spritz che te lo preparano nel bicchiere, si deve prendere per forza la caraffa, altrimenti non te lo fanno!” avvisò Giuseppe.

Dopo due caraffe di aperitivo abruzzese, Giuseppe si fece aprire una bottiglia di Cerasuolo e versò il vino nei calici. Zeno, educatamente, fece presente che un bicchiere di vino rosso prima dei pasti non rientrava proprio nelle sue abitudini e nei suoi gusti.

Ma quale rosso? Questo è un rosato, è il Cerasuolo d’Abruzzo e per noi abruzzesi è un rosato!”.

Zeno guardò perplesso per un attimo il bicchiere rosso brillante, ma preferì stare zitto per non risultare polemico e antipatico. Ad un certo punto, però, si ricordò che Giuseppe lo aveva accolto dicendogli “Benvenuto nella capitale dei pastori e delle streghe!”. Gli chiese dunque il senso di quelle parole.

C’è un’antica credenza popolare, una storia che fino a non molti anni addietro metteva paura a tutto il paese. Castel Del Monte nel secolo scorso era un borgo di pastori e, durante l’inverno, gli uomini lasciavano le loro famiglie per la transumanza in Puglia, dove portavano le greggi verso pascoli più verdi. In paese rimanevano dunque solo le donne e i bambini e così le streghe ne approfittavano per far loro visita. Si credeva che, se un bambino si ammalasse, fosse per colpa della maledizione delle streghe e c’è tutto un rituale legato a questa credenza. Anch’io ci credevo da bambino, però fortunatamente mio padre non faceva il pastore e se avevo paura mi bastava andare in camera sua!”.

Giuseppe fece un sorriso triste ricordando suo padre e Zeno preferì non fare ulteriori domande, ma passò improvvisamente a un altro argomento: “Ma cosa mangiamo stasera?”.

Cacio e ova e arrosticini!” risposero in coro gli abruzzesi.

Ma da queste parti un vino bianco buono c’è?”.

FREGHETE!!!”.

(continua)

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