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  • Immagine del redattoreMaria Rita Olivas

Fiore sardo DOP dei pastori e Vernaccia di Oristano DOC, custodi di antica cultura

Rigorosamente a latte crudo. È l'essenza di chi produce il vero Fiore sardo DOP, nel rispetto della tecnica originaria tramandata dai pastori.

Nel panorama dei pecorini della regione, il Fiore sardo DOC ricopre un ruolo storico, culturale e sociale senza eguali, poiché rimanda distintamente all’economia agro-pastorale dell’isola e alla sua millenaria tradizione casearia. Tipico della zone montuose della Barbagia e dell’Ogliastra, nel nuorese, veniva tradizionalmente prodotto con il latte intero e crudo di pecora di razza sarda autoctona dai pastori stessi, principalmente per autoconsumo, con lo stesso metodo tramandato fin dalle sue antichissime origini, risalenti alla civiltà nuragica.

Fu dai primi anni del ‘900 che le produzioni casearie dell’isola iniziarono ad attirare l'attenzione dell’industria, soprattutto a seguito del trasferimento della filiera produttiva del Pecorino Romano dal Lazio alla Sardegna, indotto dal divieto del Sindaco di Roma del 1884 di salare il formaggio nei retrobottega. Nel corso degli anni il Pecorino romano diventò la principale DOP sarda, con oltre il 95% circa delle forme ora prodotte in Sardegna (350 mila quintali circa) mentre il Fiore è rimasto una produzione maggiormente di nicchia (7 mila quintali circa). Una condizione che, tuttavia, non l’ha reso immune dall'ingresso dei grandi gruppi industriali nella sua caseificazione e dal rischio che il suo carattere originario venga snaturato.

La meccanizzazione della produzione ha infatti privato il Fiore sardo, in molti casi, del suo tratto più distintivo, ovvero l’utilizzo del latte crudo, prescritto anche dal disciplinare ottenuto nell’84. Tale elemento lo differenzia, peraltro, dalle DOP del Pecorino romano e dal Pecorino sardo, dove sono invece consentiti i trattamenti termici del latte (ad esempio la pastorizzazione).

Perché il latte crudo è così importante? Perché la biodiversità delle erbe foraggere dei pascoli sardi determina un quantitativo di composti aromatici che condiziona marcatamente i sapori del formaggio, quando vengono preservati nel latte non trattato termicamente. Tuttavia, la lavorazione del latte crudo è delicata, richiede pochi trasferimenti e una tecnica manuale, fattori che la rendono difficilmente realizzabile nell’industria, dove la filiera e l’organizzazione logistica differiscono molto rispetto alle aziende artigianali, con raccolta diretta del latte. Sono stati frequenti, negli ultimi anni, gli appelli da parte dei pastori, affinché il Fiore torni ad essere prodotto soltanto da loro, negli ovili, come avveniva storicamente.

Il latte, già di per sé molto aromatico, viene coagulato con caglio di agnello o di capretto, che conferiscono un sapore più incisivo rispetto al caglio di vitello usato, ad esempio, per il Pecorino Sardo DOP. La cagliata non viene cotta, ma pressata, per spurgare il siero e le forme vengono poi sottoposte a una lenta affumicatura di due settimane su graticci, con legni di arbusti della macchia mediterranea (mirto, lentisco), che vanno ad aggiungere ulteriore intensità e tipicità al prodotto. La crosta, scura e dura dopo l’affumicatura e trattata con una miscela di aceto di vino, olio d’oliva e sale, racchiude una pasta friabile, austera, che “scaglia” al taglio e non lascia molto spazio alle morbidezze. Il gusto, invece, è deciso, “primordiale”, di animale e di focolare, mordace nella sapidità e nella piccantezza, spiccatamente persistente.

La storicità del Fiore richiede in abbinamento un vino che sia altrettanto evocativo della cultura e delle tradizioni dell’isola: la Vernaccia di Oristano DOC, ad esempio nella versione Riserva 2007 di Silvio Carta. L’ampio spettro aromatico in stile ossidativo del vino si coniuga perfettamente ai sentori di frutta secca tostata e agli aromi di piante officinali del formaggio, mentre la suadenza vellutata ne avvolge la pungenza sapida e piccante, in un abbraccio vigoroso e carezzevole al tempo stesso. L’eleganza della Vernaccia stempera le asprezze e i sentori animali del Fiore, valorizzando e rendendo preziosa la sua diversità autoctona. Acidità e sapidità del vino non si scontrano a quelle del formaggio, ma si amalgamano ad esse, lasciando la bocca tersa dalla grassezza ovina del formaggio e slanciata, ora sui ritorni fumé del formaggio, ora sulla balsamicità finale del vino.


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