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  • Immagine del redattoreMaria Rita Olivas

L'Incantevole val Formazza

I vini delle vacanze. Alla scoperta del Nebbiolo Prünent tra vette, laghetti e tome succulente

Nella punta più settentrionale del Piemonte al confine con la Svizzera, incuneata nelle Alpi Lepontine e circondata da vette che superano i 3000 metri, la val Formazza è un luogo poco conosciuto, ma ricco di storia e di paesaggi mozzafiato.

A quote più basse rispetto alle altezze vertiginose della Punta d’Arbola, del Monte Giove, del Basodino o del Blinnenhorn, che sfiora i 3400 metri, la valle offre alcuni percorsi di trekking accessibili anche agli escursionisti meno esperti, che permettono di raggiungere scenografici paesaggi con un’ora e mezza/due di cammino. Spesso si è accompagnati dai campanacci delle mucche, che pascolano placide per alpeggi costellati da molteplici fioriture. I sentieri salgono a volte dolcemente, a volte con qualche strappo, sovrastati da ghiacciai (o quel che ne resta), lungo torrenti ora placidi, ora impetuosi, con cascatelle o poderosi salti d’acqua, come le fragorose cascate del Toce, alte 143 metri e con un fronte di 60 metri alla base.

La valle è punteggiata da numerosi laghi dalle mille sfumature verde-blu. Oltre a quelli naturali, si incontrano diversi bacini artificiali creati dalle otto dighe presenti. La grande ricchezza di fonti d’acqua, infatti, ha reso la valle un luogo ideale per lo sfruttamento idroelettrico, settore che ha trasformato nell’ultimo secolo l’economia prettamente rurale della zona, evitando, tuttavia, il rischio di spopolamento. I laghi artificiali, pur caratterizzando fortemente il paesaggio, ne sono perfettamente integrati e appaiono come specchi in cui le montagne si riflettono e vengono amplificate. Due in particolare sono i percorsi estivi che vi consigliamo.

Il primo percorso parte da Formazza (1280 m), verso il Rifugio Margaroli sulla diga del lago Vannino (2195 m), il cui dislivello è in gran parte superabile con la seggiovia. Da lì si sale agevolmente al lago Sruer (2330 m), dal colore smeraldo, racchiuso in una conca di grande impatto panoramico, sotto al Pizzo del Costone e le bianche guglie del Lebedun.

Il secondo parte da Riale (1718 m) e, seguendo in parte la strada per il rifugio Maria Luisa, raggiunge la diga del lago Kastel a 2230 metri, lungo le cui acque turchesi non è raro avvistare simpatiche marmotte. Se poi avete voglia di avventura da lì si può proseguire un’altra ora e mezza, attraverso ripidi pendii ricoperti da rododendri, al più remoto e meno accessibile lago Nero a 2434 m, così chiamato perché le sue acque riflettono il colore delle rocce nere sovrastanti. E’ luogo magico che si trova sul fondo di una conca glaciale, dove la quotidianità sembra lontanissima e il cuore si fa leggero.

Le salite stimolano l’appetito e quindi tornando in valle si può optare per un bel tagliere di formaggi tra i pittoreschi paesini dalle case in pietra fondati dai Walser, una popolazione germanica proveniente dal Canton Vallese, che si insediò in questa e altre zone dell’arco alpino occidentale tra il XII e il XIII secolo.

In primis, nel tagliere troviamo l’Ossolano DOP, dalle spiccate note floreali, che variano a seconda delle essenze stagionali presenti nelle erbe foraggere con cui vengono alimentati gli animali, nonché a seconda dei mesi di stagionatura. Poi un buon Nostrano, dai sentori più delicati, e un ottimo caprino ossolano con la crosta “fiorita” da infiorescenze di muffe e lieviti, che sa di ortica e di camomilla. Particolare è, inoltre, l’assaggio del burroso Cistellino, di cui ne esiste anche una versione chiamata “Frip” con un carico di fosforo notevolmente ridotto per persone affette da malattie renali, nato dalla collaborazione fra il Policlinico di Milano e la Latteria Sociale Antigoriana di Crodo.

Per il re della valle, il Bettlemat, dobbiamo invece pazientare ancora un pochino: le prime forme, prodotte in pochissime malghe sopra i 1800 metri di quota nei mesi estivi, saranno infatti marchiate fra settembre e ottobre, a stagionatura avvenuta.

In abbinamento al tagliere cerchiamo un vino locale delle valli ossolane. Accanto a Chardonnay, Croatina, Barbera e Merlot, viene qui coltivato un clone del Nebbiolo, il Prünent. Le viti sono aggrappate alla roccia come scalatori, su piccoli appezzamenti terrazzati, dove spesso viene utilizzato un sistema di allevamento a pergola, sostenuto da pali in pietra o in legno di castagno. La pergola offre una preziosa ombreggiatura alle viti, durante le torride estati da surriscaldamento globale che non risparmia nemmeno queste valli, e in primavera protegge le piante dalle gelate notturne.

Nei primi decenni del ‘900 la sua coltivazione era stata quasi abbandonata, ma grazie alla lungimiranza della famiglia Garrone e, in tempi più recenti, all’entusiasmo di un manipolo di giovani viticultori, il Prünent è oggi la miglior espressione della viticultura ossolana. Qui il Nebbiolo acquista delle caratteristiche uniche, con note olfattive che ricordano i boschi e una freschezza gustativa che rimanda ai torrenti alpini.


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